Da Cascia a Monteleone di Spoleto - Lungo le sponde del Corno, l`antico Nar
Tipologia: Circuiti
Difficoltà: In Automobile
Durata: Da 4 a 8 ore
Interessi: Storico - Culturale
L’itinerario si snoda in gran parte lungo il percorso ed il bacino idrografico del fiume Corno, l’antico Nar dei popoli italici, che a Cascia lambisce il colle di S. Agostino su cui è adagiata la città ed il Sacro Scoglio di Roccaporena, ove l’itinerario si conclude, dopo aver attraversato la profonda Valle del Corno fino a Monteleone di Spoleto due grandi altopiani: quello di Leonessa, nel Lazio, e quello di Chiavano, in Umbria, che appartengono entrambi alla storia e alla vita del Nar.
Prima che i terremoti che si sono succeduti nel corso dei secoli ed alcune recenti opere di captazione delle acque alle sorgenti ne riducessero drasticamente la portata, il fiume Nar era così chiamato per la potenza che un tempo avevano le sue acque: per gli antichi popoli Umbri ed i vicini Sabini la parola Nar, o Nahar, evoca “forza”, possanza d’impetuose correnti e di abissi equorei di cui Nereus è signore. Nero, “maschio” era anche il nome sabino di Nerone. Tra i germani Nerthus era dio della potenza virile e, in India, Narayana, “Che cammina sulle acque”, era il demiurgo che dall’oceano fa emergere il mondo. Un nome antico e sacro, quello del fiume divenuto Nera in lingua volgare. Il comune di S. Anatolia di Narco e l’omonima valle derivano il loro nome dal Nar come l’antica popolazione dei Naarci: “Gente del Nar”, detto “sulphureus” (nar significa anche “zolfo”) dalle acque albule che alimentavano le terme romane di Tripontium, l’attuale Triponzo, ove il Corno confluisce nel Nera.
Il nostro itinerario segue il corso del fiume fino alle sue sorgenti e da Cascia, raggiunge la frazione di Ocosce, “terra murata”, cinta un tempo da forti bastioni a guardia della Valle del Corno e di Cascia alla cui rocca era collegata da un ripido camminamento. A sinistra della strada, che s’inoltra in un valloncello solitario e ameno, il bivio per Monte Meraviglia (m 1392) denso di rigogliosi querceti, cerri e faggete che abbracciano i pascoli solatii della cima salendo sulla quale si ha la sensazione di toccare, quasi con mano, ad est la catena dei Monti Sibillini, dove nasce il Nera, dominata dal Monte Vettore (m 2476); a sud-ovest, gli alti monti che racchiudono l’altopiano di Leonessa, ove il fiume Corno - Nar ha le sue sorgenti.
Gli appassionati del trekking possono salire alla cima attraverso l`itinerario escusionistico del grande anello del Monte Meraviglia.
Da Ocosce la strada scende al Ponte delle Ferriere, così chiamato dalle miniere di Monte Birbone che rifornivano l’opificio qui costruito nel 1630 da papa Urbano VIII sfruttando, per il lavaggio del minerale e il movimento dei magli, le copiose acque del Corno.
Oltre il Ponte delle Ferriere, tra forre rocciose a strapiombo sul letto del fiume, la strada si dirige a Monteleone di Spoleto. Poco prima di salire al borgo, che conserva una parte della vecchia cinta muraria, un bivio per la frazione di Rescia conduce all’antica pieve longobarda di S. Maria de Equo, ossia “del piano”, il cui ingresso è riparato da un arioso porticato. All’interno, affreschi cinquecenteschi: la Vergine, Antonio Abate protettore del bestiame e difensore dal fuoco, Lucia protettrice della vista e Sebastiano difensore dalla peste nera che, invisibile e fatale, per secoli ha percorso anche le strade della montagna. Qui, nel ‘300, visse l’eremita Gilberto o Liberto, illustre per lignaggio e santità.
Di fronte alla pieve, alto sulla piana solcata dal Corno e stretta nella cinta ferrigna delle mura, Monteleone riceve il primo bacio dal sole del mattino: nell’Alto Medioevo, per la sua posizione strategica a controllo di importanti vie di comunicazione provenienti da Norcia, Spoleto, Leonessa, Salaria e Valle del Tronto, i duchi longobardi scelsero questa località come centro di un distretto, il gastaldato Equano.
Sulle rovine della rocca di Brufa, così era chiamato l’antico castello di Monteleone di Spoleto, eretta dal conte romano Attone nell’880, devastata dai saraceni pochi anni dopo e distrutta nel 1228 dalle milizie di Federico II, i nobili Tiberti, discendenti di Attone, ricostruirono la rocca di Mons Leonis.
Nel 1280 i francescani dedicarono l’antica chiesa benedettina di Santa Maria a S. Francesco e alla Madonna Assunta. Verso la fine del ‘300 la chiesa fu divisa in due nel senso dell’altezza e l’inferiore venne dedicata ai SS. Antonio Abate e Antonio da Padova. Il portale, opera dei maestri lombardi, è ricco di simboli animali e vegetali, alcuni di essi allusivi alle lotte fratricide tra guelfi e ghibellini che insanguinarono l’Umbria, altri riferiti al Cristo.
All’interno della chiesa superiore, affreschi trecenteschi; una pala d’altare del ‘600 con la Vergine tra S. Francesco da Paola e Gaetano di Thiene, santo della divina provvidenza; l’Annunciazione di Agostino Masucci (1723). Nella sacrestia, le pregevoli tele dell’Agonia del Gethsemani, dell’Incoronazione di spine e della Sacra Famiglia.
Nella chiesa inferiore, tra gli affreschi spicca la maestosa Madonna della Misericordia in atto di proteggere sotto il suo manto il popolo del castello accompagnata da una teoria di santi, tra cui Antonio Abate con gli animali domestici di cui è protettore, Martino, Caterina, Agostino. Notevole il trecentesco Battesimo di Gesù col severo Battista.
A Monteleone è conservata una copia dell’antica biga bronzea di fattura etrusca della I metà del VI sec. a. C., rinvenuta in un tumulo in località Colle del Capitano: la biga originale è oggi esposta al Metropolitan Museum di New York.
Di rimpetto a Monteleone di Spoleto, la catena montuosa che cinge l’altopiano di Leonessa con le cime maggiori del Cambio e del Tilia: il Mons Fiscellus da cui, scrive Plinio, scaturisce il Nar che scorre tra le selve un tempo sacre alla divinità pagana Vacuna. Fino ai tempi di Federico II di Svevia, l’altopiano dove nel 1278 sorgerà l’angioina Gonessa, poi Leonessa, era detto di Narnate, ossia del Nar e così pure il castrum (oggi Capodacqua) che vegliava sul piano.
Lasciata Leonessa, attraversando in direzione di Cascia la frazione di Vindoli, fucina di abili “mastri ferrari”, ai piedi del castello di Pianezza, un bivio conduce a S. Giovenale. Prossimo al borgo, immerso nel verde e nel silenzio delle geometrie che caratterizzano il paesaggio agrario dell’Altopiano di Chiavano, suddiviso da secolari recinzioni, ove dominano la quercia, l’acero montano e il pioppo e sono ancora leggibili le antiche centuriazioni romane, il santuario della Madonna della Paolina. Qui, nel 1665, la Vergine apparve a una pastorella di S. Giovenale, o di Buda, facendo scaturire una limpida fonte. Sulla prima edicola, accanto al pozzo dell’acqua miracolosa, sorse una chiesa ingrandita nei secoli dove ogni anno, il 25 di agosto, ai canti dei tanti pellegrini fa da sfondo il vociare paesano dell’affollata fiera che costituisce uno degli appuntamenti annuali più importanti per la gente della montagna dell’alta Valnerina.
Da Terzone, ancora nel comune di Leonessa, paese di allevatori, una strada porta a Norcia passando per Trimezzo e Civita per discendere al piano di S. Scolastica: da Norcia il viaggiatore potrà arrivare a Preci attraverso l’itinerario benedettino che percorre tutta la valle Castoriana.
La strada seguita invece dall’itinerario passa per Trognano, lambisce le frazioni di Coronella e Buda, giunge al tempio romano di Villa S. Silvestro per discendere verso la città di Cascia e il borgo di Roccaporena, ove l’itinerario si conclude.
Del tempio romano del III sec. a. C. resta il maestoso podio in pietra, la cella occupata dalla chiesa e resti del colonnato. Il tempio venne eretto all’incrocio del cammino che da Leonessa scendeva alla Salaria e, da Norcia, percorrendo la Via Nursina, raggiungeva Spoleto: percorsi militari, commerciali e vie di transumanza trovavano nel tempio il loro punto di acconto e di raccordo. Ai tempi in cui i legionari del console Manio Curio Dentato conquistavano terra da arare deviando il Velino e facendone precipitare le acque dalle rupi delle Marmore, accanto al tempio venne costruito il forum. Un’epigrafe menziona Terminus, epiteto di Giove garante dei confini. Recenti scavi hanno riportato alla luce un secondo tempio a doppia cella, forse dedicato a Liber, rustica divinità assimilabile a Dioniso Liberatore, e a Libera, datrice di messi. Sopra il podio dell’antico tempio romano, la chiesa dedicata a San Silvesto.
Attraversato l’Altopiano di Chiavano, pettinato da solchi millenari, verde distesa ai piedi di monti solenni, la strada lambisce il borgo di Castel San Giovanni arroccato su uno sperone roccioso.
Da Cascia, stretta tra balze montane ove scorre il fiume Corno, l’itinerario si dirige a Roccaporena. Il mormorio del fiume e il frusciare dei pioppi accompagnano il viaggiatore verso il borgo natale di Santa Rita dove, ad attenderlo, s’erge l’erta mole del Sacro Scoglio, lambito dalle acque del fiume Corno che scendono da Leonessa, un tempo altare di culti pagani, di cui si conserva ancora la memoria, ed oggi luogo significativo della devozione a Santa Rita, umile figlia di questi monti.
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